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A.N.P.I. BRESCIA

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Ti trovi qui: Home / Notizie / Commemorazione del partigiano Verginella. Tutti gli interventi. Lumezzane, domenica 13 gennaio 2019

Commemorazione del partigiano Verginella. Tutti gli interventi. Lumezzane, domenica 13 gennaio 2019

14 Gennaio 2019 //  by ANPI Brescia

L’intervento di Matteo Zani, sindaco di Lumezzane (fai clic qui).

L’intervento di Gianpietro Patelli, presidente della Sezione della ANPI di Lumezzane (fai clic qui).

Compagne/i amiche /i innanzitutto voglio ringraziarvi per la vostra partecipazione. Sono trascorsi ben 74 anni da quando qui in questo luogo fu barbaramente assassinato da militi fascisti dopo lunghe sevizie e torture il comandante della 122°brigata Garibaldi Giuseppe Verginella. E oggi mentre ricordiamo la sua eroica figura non possiamo non ricordare gli altri patrioti lumezzanesi e garibaldini della brigata Garibaldi: Bianchi Tranquillo, Giancarlo Brugnolotti, Bonsi Umberto, Gnali Carlo Biagio, Ghidini Angelo, Marelli Ulisse, Moretti Bernardo e i ragazzi del duplice omicidio della Brocca Ghidini Narciso e Fausto Zubani e a tutti i caduti della nostra provincia. Un pensiero a chi ci ha lasciato negli ultimi anni, Lino Pedroni, Francesco Pellacini, Lino Belleri.
Verginella è stato un partigiano Europeo, un internazionalista, un rivoluzionario di professione, a soli 25 anni fu nominato deputato dei Soviet a Mosca, nel 1936 è volontario nella guerra di Spagna, successivamente operò nella resistenza francese nel Maquis. Rientrato in Italia nel 1943 con il bagaglio di esperienza politica e militare diventa comandante della 54 ° brigata Garibaldi della Valcamonica, poi viene trasferito in Valle Trompia come comandante della 122° brigata Garibaldi fino al suo assassinio. Un partigiano europeo che non sarebbe certo entusiasta di questa Europa, Europa che balbetta inconcludente di fronte al dramma di esodi biblici di uomini e donne e bambini che fuggono dalla guerra dalla violenza e dalla fame. Un’Europa che vede nascere e crescere movimenti e gruppi che si ispirano apertamente al nazifascismo e non sufficientemente contrastati. Una Europa dove la parola solidarietà e umanità si sente e vede sempre meno soppiantata dall’egoismo. Solidarietà e umanità gli uomini della resistenza ben conoscevano questi sentimenti e valori tanto da mettere a repentaglio la loro stessa vita per vederli affermare insieme alla democrazia. Democrazia oggi in sofferenza, stati e governi, sistemi che non sanno dare risposte ai nuovi problemi nati dai processi di globalizzazione, alla domanda di partecipazione alla vita del paese. Anche nel nostro paese la democrazia è in sofferenza viene meno il ruolo dei partiti disegnati nella nostra costituzione come luogo di partecipazione alla vita del paese, la nostra carta costituzionale non attuata e largamente disattesa anche nei suoi simboli importanti. Il parlamento sempre meno luogo di confronto e succube della azione dell’esecutivo. Questo anno abbiamo assistito ad una approvazione della legge di bilancio senza che il parlamento non solo non abbia potuto discuterla ma nemmeno conoscerla. È vero che ciò sia pure in misura meno grave è accaduto molte volte negli ultimi anni, ma ripetere gli errori perché altri lo hanno fatto prima non produce giustizia ma somma errori ad errori! In questo modo si svuota il ruolo del parlamento, si acuisce la sfiducia nelle istituzioni, si amplia il divario tra i cittadini e i rappresentanti del popolo, si colpisce la democrazia e la stessa costituzione! Non solo con le avventure legislative si tenta di minare la costituzione ma la si può minare anche nella violazione sistematica dei suoi dettati. Questo paese ha bisogno di ritrovare il linguaggio del confronto soprattutto nelle istituzioni, del superare la contrapposizione a priori, di ritrovare le ragioni di una comunità. Cosi come fecero i partigiani, seppure divisi da ideologie seppero trovare un’zione comune per liberare il paese dal nazifascismo e scrivere nell’’assemblea costituente sulla base dell’esperienza della resistenza la più bella costituzione del mondo. Onore e gloria al comandante Verginella e a tutti i partigiani e patrioti.

L’orazione ufficiale dell’avvocato Francesca Parmigiani, per l’ANPI provinciale di Brescia (fai clic qui).

Vi ringrazio per l’invito che mi avete rivolto a intervenire alla celebrazione che l’Amministrazione comunale di Lumezzane e la sezione locale dell’Anpi hanno promosso per ricordare – proprio accanto a questa stele bilingue in italiano e in sloveno a lui dedicata – Giuseppe Verginella (nome di battaglia Alberto), comandante partigiano della 122^ Brigata Garibaldi, insignito della medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: “Dopo aver valorosamente partecipato alla guerra di liberazione, assumeva nell’ottobre 1944 il comando di una brigata partigiana operante in quel di Brescia, distinguendosi per decisione e per ardimento nell’effettuare numerose azioni di guerriglia. Caduto in mani nemiche manteneva, sino alla morte, tra sevizie e torture, contegno fiero ed esemplare, coprendo la responsabilità dei dipendenti e rivendicando la nobiltà della lotta di Liberazione”.
Il mio intervento di oggi ha rappresentato per me anche l’occasione per rileggere alcune pagine della biografia di Giuseppe Verginella, di cui credo sia doveroso ripercorrere alcuni passaggi salienti per rinvigorirne il ricordo e per riflettere sulla statura morale, politica e umana di questa luminosa figura di resistente.
Verginella nasce nel 1908 in un villaggio a maggioranza slovena nei pressi di Trieste; giovane operaio, a 17 anni aderisce al PCI e, a causa del suo attivismo politico, viene arrestato dalla polizia fascista. Liberato, viene fatto emigrare in Iugoslavia, quindi in Francia e infine in URSS. Volontario nella guerra civile spagnola, milita nelle Brigate internazionali, inquadrato nel IV battaglione della Brigata Garibaldi. Nel 1939, dopo lo scioglimento delle Brigate Internazionali, oltrepassa la frontiera italo-francese e – dopo essere stato arrestato – viene internato nel campo di concentramento di Le Vernet. Sfuggito alla polizia italiana cui era stato consegnato da quella francese, entra nel maquis – il movimento di resistenza francese – avendo anche responsabilità di commissario politico e poi di comandante nella zona di Lione. Dopo la caduta di Mussolini, rientra in Italia e, all’atto dell’occupazione tedesca, è incaricato dal PCI di organizzare la resistenza prima in Piemonte, poi in Valle Camonica. In Val Saviore, in particolare, si costituisce la 54^ Brigata Garibaldi, di cui Alberto diviene commissario politico. Trasferitosi in Val Trompia, diviene comandante della 122^ Brigata Garibaldi, costituita per iniziativa di Giuseppe Gheda. Ricordando Verginella, è doveroso menzionare anche il prezioso ruolo svolto dalla sua staffetta Berta (nome di battaglia di Santina Damonti), che diventerà uno dei simboli del valore femminile nella lotta di Liberazione nel bresciano. Verginella viene arrestato dietro delazione il 24.12.1944 in occasione di un appuntamento a Camignone con un funzionario del PCI di Cremona; appuntamento al quale, al contrario, trova la squadra politica della Questura, al comando del vice-questore Quartararo. Imprigionato nelle carceri bresciane – insieme a Luigi Romelli (detto Bigio), vice-comandante della 54a Brigata Garibaldi e padre della “partigiana bambina” Rosy Romelli – viene torturato perché riveli l’identità di altri partigiani. Verginella, tuttavia, non parla, difendendo fino all’ultimo i compagni. Il 10.01.1945 viene condotto a Lumezzane, già centro organizzativo della 122^ Brigata Garibaldi, perchè si vogliono ottenere da lui informazioni circa l’ubicazione di presunti depositi di armi e qui viene assassinato per strada dai reparti della questura.
Giuseppe Verginella rappresenta una figura emblematica di una generazione che – cresciuta nella parabola del ventennio fascista – ha saputo farsi forza motrice della ricostruzione morale e materiale del Paese. Perché la Resistenza, pur senza negarne la componente militare, ha rappresentato anche un movimento volto a instaurare un nuovo ordine sociale, politico e costituzionale, come ci ricorda Norberto Bobbio, il quale riconosce un triplice carattere alla Resistenza: quello di guerra di liberazione contro il nemico esterno e interno, vale a dire contro gli occupanti nazisti e contro la dittatura fascista; quello di movimento di emancipazione sociale, a tal punto che la Resistenza è definita come l’unico grande moto popolare nella storia dell’Italia moderna; quello di movimento che mirava all’instaurazione di uno Stato nuovo, radicalmente antitetico non solo agli anni bui del regime fascista, ma anche allo Stato prefascista; quello Stato incarnato dallo Statuto Albertino, una Costituzione fragile e debole che non fu in grado di fungere da baluardo contro l’avvento del fascismo.
Uomini come Verginella meritano di essere ricordati non solo per ciò che hanno fatto, ma anche perché ci dimostrano che c’è stata e c’è un’Italia migliore ed è in quella che dobbiamo continuare a sperare. E sono soprattutto le ragioni più profonde, le motivazioni etico-morali che hanno spinto questi uomini e queste donne a resistere a rappresentare un messaggio universale e senza tempo dal quale dovremmo anche oggi trarre insegnamento.
Resistenza come scelta militante per la libertà; resistenza come opzione alternativa alla barbarie; resistenza che nasce dalla necessità di scegliere da che parte stare, perché essere partigiani – in ogni momento storico e in ogni angolo del mondo – significa soprattutto, per citare Gramsci, non essere indifferenti, non voltare lo sguardo dall’altra parte; rifuggire da quell’indifferenza che è stata più volte definita dalla senatrice a vita Liliana Segre “l’atteggiamento più insidioso e gravido di pericoli“. Resistenza fondata su valori di democrazia, libertà, pace, eguaglianza, solidarietà, giustizia sociale, dignità della persona – quella dignità che nasce dal lavoro, come contributo materiale e spirituale di ciascuno al progresso della società – valori che si sono poi trasfusi in progettualità politiche, contribuendo a disegnare le fondamenta del nuovo sistema politico dell’Italia repubblicana. Resistenza mossa da un’ispirazione internazionalista, la stessa che indusse Verginella a combattere prima in Spagna e poi in Francia e che portò due antifascisti al confino – Rossi e Spinelli – a immaginare, in quel Manifesto di Ventotene in cui affondano le radici più nobili dell’attuale e un po’ malconcia UE – una federazione di Stati per dire basta alla guerra.
E questo legame genetico tra Resistenza e Costituzione è descritto in maniera icastica, come solo i canti popolari (o le canzoni di De Andrè, permettetemi l’inciso) sanno fare, proprio nel canto partigiano “I ribelli della montagna” e, in particolare, in quel ritornello che dice “Siamo i ribelli della montagna, viviam di stenti e di patimenti, ma questa fede che ci accompagna, sarà la legge dell’avvenir“. Ed è stato proprio così. Questa aspirazione si è avverata e nella Costituzione repubblicana del 1948 si sono trasfusi i valori affermati nella lotta di Liberazione, a tal punto che possiamo affermare che l’antifascismo abbia rappresentato uno degli ingredienti dell’intesa tra i Costituenti e che la sofferenza sopportata, i patimenti subiti a causa del fascismo abbiano segnato profondamente le pagine della nostra Carta costituzionale. L’antifascismo ha cioè rappresentato un denominatore comune pregnante; un antifascismo inteso come ribaltamento delle categorie fasciste che avevano mortificato, umiliato, oppresso la persona umana.
La Costituzione ha, perciò, costituito il capovolgimento della concezione autoritaria, illiberale, esaltatrice della guerra, imperialista e razzista che il fascismo aveva affermato e ogni norma costituzionale – se letta con attenzione – ci dice proprio contro che cosa i Costituenti volevano reagire e contro che cosa o chi i partigiani avevano combattuto. L’antifascismo ha, quindi, rappresentato una grande risorsa politica e civile per la nascita della nostra Repubblica, ma si è anche dimostrato – e continua a dimostrarsi – essenziale per la tenuta e per il rafforzamento della nostra democrazia repubblicana, soprattutto in una fase in cui quest’ultima non sembra godere di ottima salute.
Ciò che voglio dire è che il contributo dell’antifascismo alla costruzione della democrazia va inteso come un processo continuo, una tensione verso altri e più lontani obiettivi. Per questo la formula “Costituzione nata dalla Resistenza” deve essere sottratta alla sua ritualità e tornare ad avere un valore profondo, dovendo essere riconosciuta come espressione di quel patriottismo costituzionale, di cui abbiamo bisogno per tornare a sentirci – per citare le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – “comunità di vita“, per “condividere valori, prospettive, diritti e doveri“, per “pensarsi dentro un futuro comune, da costruire insieme“. Questo – credo – sia ciò che dovremmo provare a recuperare in un periodo caratterizzato da preoccupanti recrudescenze razziste e xenofobe, in un periodo connotato da un progressivo sfaldamento del tessuto civile e della trama costituzionale, fatta di principi, diritti, regole.
Anche per questo l’Anpi ha ben presente che la trasmissione della memoria è essenziale, soprattutto se non è intesa come stanca ripetizione di riti e cerimonie, ma come tentativo di attualizzare e di declinare nel presente il significato più profondo della Resistenza. Così come è forte la consapevolezza che, di fronte a nuovi rigurgiti fascisti, sia necessario un nuovo antifascismo, soprattutto perché viviamo in tempi di dilagante ignoranza – storica e giuridico-costituzionale – di revisionismo strisciante, di appannamento e annacquamento della memoria, di strumentalizzazione, mistificazione, sottovalutazione, sbadataggine.
Non dobbiamo, perciò, stancarci di denunciare come preoccupanti e inaccettabili – vista la XII disposizione transitoria e finale e le leggi Scelba e Mancino – le tante sigle della galassia nera, da Forza Nuova a Casa Pound, solo per citare le principali; presenze che popolano le cronache – si pensi alla vergognosa aggressione fascista a Roma ai danni dei giornalisti de L’Espresso – e, purtroppo, anche le campagne elettorali ormai a ogni livello, iniziando pericolosamente a penetrare nelle istituzioni democratiche, a partire dai consigli comunali. Ricordo – ad esempio – che Casa Pound è presente in ben 13 consigli comunali e segnalo che il risultato non brillante registrato alle ultime politiche (0,9%) non ci può far stare tranquilli perché non possiamo ignorare che molti di quei voti sono di fatto stati assorbiti dalla Lega; un partito che da movimento autonomista e federalista (nel quale Umberto Bossi, a metà anni Novanta gridava “mai con i fascisti, mai con i nipoti dei fascisti“) si è trasformato in partito nazionalista, sovranista, antieuropeista, contenitore dell’estrema destra.
Michela Murgia nel suo recentissimo saggio “Istruzioni per diventare fascisti” scrive: “Chi siano i fascisti oggi è una cosa che non ha bisogno di me per essere evidente. Chi mette muri, chi limita la solidarietà ai suoi, chi mette gli uni contro gli altri per controllare entrambi, chi limita le libertà civili, chi nega il diritto alla migrazione con l’arma della legge e l’alibi della responsabilità; questi sono i fascisti oggi”.
Oggi al Governo siede una destra che non ha nulla a che vedere con le destre democratiche e liberali, rispetto alle quali ci si può trovare agli antipodi nella visione politica del mondo, ma con le quali almeno si condivide il quadro costituzionale di riferimento. Oggi vantiamo un Vicepresidente del Consiglio che, tra le “conquiste” del proprio Governo, annovera la riduzione degli sbarchi dell’80% e il taglio ai “costi dell’accoglienza”, a partire dalla chiusura dei progetti Sprar; con buona pace della Convenzione di Ginevra, della Cedu e di quell’art. 10 della Carta costituzionale, ai sensi del quale “lo straniero cui sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge“. Perché i dati citati da Salvini significano soltanto una cosa: pur di reprimere il fenomeno migratorio e limitare gli sbarchi, stiamo tollerando le torture (si pensi a quelle consumate nei campi di concentramento in Libia) e stiamo tollerando il drastico incremento del tasso dei morti in mare (oltre 2.000 vittime nel 2018).
Oggi la strumentalizzazione del tema dei migranti e la guerra tra poveri – quella tra ultimi e penultimi, alimentata dagli imprenditori della paura che parlano più alla pancia che alle intelligenze delle persone – trovano posto in una legge dello Stato, il decreto sicurezza, che richiama la parola-chiave del vocabolario governativo; vocabolo sempre utilizzato nella sua accezione securitaria, come sinonimo di ordine pubblico, e mai declinato in chiave sociale, previdenziale, economica, infrastrutturale, perché lavoro, cultura, sanità pubblica, tutela dell’ambiente, scuola pubblica come luogo di emancipazione sociale sono parole ormai scomparse dall’agenda politica. Un testo normativo – quello che Salvini chiama il “suo” decreto – della cui legittimità costituzionale e del cui rispetto degli obblighi internazionali dubitano in molti: non solo avvocati, magistrati, giuristi, personalità politiche, ma anche organi dello Stato; dal Consiglio Superiore della Magistratura al Presidente della Repubblica, che – in occasione della promulgazione del decreto – aveva persino inviato un messaggio al Presidente del Consiglio Conte, purtroppo scegliendo, tuttavia, di non utilizzare un altro strumento che la Costituzione mette a sua disposizione in qualità di garante della stessa: il rinvio alle Camere. Se quel testo fosse stato rinviato alle Camere, infatti, i “sindaci coraggiosi” – quelli che, a partire dal Sindaco di Palermo, hanno denunciato quel decreto come “disumano e criminogeno“, optando per una sospensione della sua applicazione nella parte in cui vieta l’iscrizione dei migranti nei registri anagrafici – non sarebbero stati costretti a quel ruolo di supplenza nella custodia della Costituzione che avrebbe dovuto, al contrario, essere esercitato da figure istituzionali di rango ben più elevato. Quei “sindaci coraggiosi” – che fanno esercizio di disobbedienza civile e di resistenza – hanno aperto un’importante contraddizione tra i valori della Costituzione e una politica che legifera disprezzandoli. Per questo è ora auspicabile che la Corte Costituzionale sia posta quanto prima nelle condizioni di esercitare il proprio sindacato di legittimità costituzionale rispetto alla legge 132/2018.
E ci sembra di stare toccando il punto più basso dell’intera storia dell’Italia repubblicana se pensiamo all’immagine delle imbarcazioni Sea Watch e Sea Eye erranti per il Mediterraneo per giorni con 49 migranti a bordo, tra cui donne e neonati; una vicenda che ha segnato una sconfitta per la Costituzione, per i diritti umani e per la stessa Europa, un’Europa che non può apparire come una “fortezza”, ignara dei drammi del mondo. Perché non possiamo accorgerci di guerre e mutamenti climatici solo quando sbarcano sulle nostre coste, sebbene a volte quelle stesse guerre siano fatte con le nostre bombe. Così come il progetto europeo non può essere ridotto a un mero programma economico e monetario. Vi è la necessità di ricostruire l’idea di un’Europa unita, partendo da diritti umani e sovranità popolare, anche per colmare il deficit democratico delle istituzioni europee. Proprio perché noi europei abbiamo alle spalle immani tragedie dovute a nazionalismi, fondamentalismi, guerre di religione, esasperarsi delle masse oppresse dall’emarginazione, migrazioni, possediamo quel lessico necessario a creare un nuovo linguaggio per la pace e per i diritti.
Purtroppo – al momento – siamo colti da sconforto, dovendo constatare, di fronte a un governo che ostenta la propria disumanità, l’assenza di un’opposizione politica, che è qualcosa di più dell’opposizione morale dei sindaci che difendono la Costituzione, dei vescovi fedeli al Vangelo o dei cittadini e delle cittadine che non si arrendono al deserto che cresce, come quelli che ormai da mesi si ritrovano a Brescia ogni venerdì sotto un’unica bandiera: l’imperativo morale di Vittorio Arrigoni “restiamo umani”. Al netto di questa preziosa opposizione morale, regna il vuoto, perché – come ha brillantemente spiegato Marco Revelli dalle colonne del Manifesto – fatte salve alcune eccezioni parlamentarmente (purtroppo) quasi irrilevanti dal punto di vista numerico, chi oggi dovrebbe fare opposizione in tema di politiche migratorie, chi dovrebbe rivendicare il rispetto della Costituzione manca totalmente di credibilità, delegittimato dalla propria storia recente. E’ dal disinvolto comportamento da costoro tenuto in passato che sono legittimati i peggiori strappi di oggi: basti ricordare lo sciagurato codice Minniti, l'”Aiutiamoli a casa loro” divenuto bipartisan o lo sbrego costituzionale – come lo chiamerebbe il Prof. Corsini – tentato, ma fortunatamente arrestato dall’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.
Come può, infatti, invocare il rispetto della Costituzione chi fino a ieri ha cercato di farla a pezzi? Come può denunciare l’umiliazione del Parlamento e lo stravolgimento della procedura di approvazione delle leggi, ad esempio in occasione del voto sulla legge di bilancio, chi per anni ha accettato che il Parlamento si trasformasse in un luogo di ratifica di decisioni prese altrove e ha caldeggiato un rafforzamento dell’esecutivo, in spregio al principio dell’equilibrio tra i poteri, che rappresenta una forza della democrazia, non un suo limite? In questo quadro è difficile sottrarsi all’impressione che la Costituzione sia dai più citata più che conosciuta, esaltata più che compresa, opportunisticamente invocata più che rispettata.
E allora ciò di cui abbiamo realmente bisogno è che un nuovo ciclo abbia inizio, dopo anni di disinvolture costituzionali. In questa terra di nessuno dei valori, di fronte a un Paese che appare sempre più intriso di ostilità e di indifferenza, ricostruire un’articolazione tra l’opposizione morale che resiste e l’opposizione politica che non c’è più, è impellente e vitale. Da qui l’accorato appello di Gustavo Zagrebelsky – che mi pare calzante ricordare proprio oggi in questo luogo – a una rinnovata resistenza civile, alla quale non possiamo sottrarci.
In conclusione, oggi avverto il bisogno di ringraziare Giuseppe Verginella e con lui tutti i resistenti della lotta di Liberazione per il coraggio, la forza d’animo, la coerenza, l’umanità, la lungimiranza, la capacità di elaborazione politica, ma sento anche forte la necessità di chiedere loro scusa per il tradimento che anno dopo anno, governo dopo governo, è stato realizzato nei confronti di quel sogno divenuto legge. In quel testo, tra i principi fondamentali, campeggiano parole di speranza e di libertà quali lavoro, sanità, scuola, solidarietà, diritti eguali per tutti, diritti fondamentali garantiti a tutti, al di là della cittadinanza, perché i Costituenti avevano compreso che l’emancipazione o è per tutti o non è; manca – è vero – il diritto alla felicità, presente ad esempio nella Dichiarazione d’indipendenza americana, forse perché dall’eguaglianza e dalla giustizia sociale – una volta attuate – sarebbe dovuto derivare qualcosa di molto simile alla serenità o alla sicurezza, quella vera. Oggi, al contrario, echeggiano parole di chiusura e di odio: “non abbiamo il dovere morale di accoglierli tutti”, “aiutiamoli a casa loro”, “è finita la pacchia”, “prima gli italiani”; parole alle quali ha risposto magistralmente in una lettera – che è un pugno nello stomaco, ma che vi invito a leggere – una donna migrante, originaria del Delta del Niger, che ha ricordato come l’Africa sia stata devastata dalla guerra, dalla dittatura, dalla corruzione, dal saccheggio e dallo sfruttamento di risorse da parte dei potenti del mondo, quelli che hanno fatto la pacchia sulla pelle dei popoli africani, sulle loro vite, sui loro poveri sogni di una vita appena migliore. E allora a quel “Prima gli italiani” dovremmo rispondere noi tutti: “No, Ministro Salvini, si sbaglia di grosso; non vengono prima gli italiani; viene prima l’Italia, quella repubblicana, democratica, nata dalla Resistenza e fondata sulla Costituzione antifascista, un testamento di migliaia di morti, che ora dipende da noi far vivere o far morire per sempre”.

 

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