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Intervento del presidente provinciale dell’ANPI di Brescia Giulio Ghidotti al raduno del Plà lonc. Cevo, 31 agosto 2014

6 Settembre 2014 //  by ANPI Brescia

Buongiorno, buona domenica e un caloroso saluto di benvenuto a tutte e tutti, cittadine e cittadini, sindaci ed autorità, rappresentanti di associazioni e sezioni partigiane, rappresentanti di organizzazioni sindacali e di gruppi culturali.

Un saluto ed un abbraccione speciale da parte di tutti noi ai partigiani ed alle partigiane della Valsaviore che operarono nella 54^ che ci onorano anche oggi della loro presenza:

Rosi Romelli
Gino Boldini

Autentici protagonisti della gloriosa stagione e delle giornate che oggi ricordiamo, loro che non mancano da settant’anni a questo appuntamento al Plà Lonc.

Un grazie riconoscente alle donne ed agli uomini della Valsaviore che instancabilmente, testardamente direi, continuano in modo ammirevole ad organizzare in questi luoghi la memoria storica mettendo in pratica le parole “Stüfiss mia”, testamento di Lino Pedroni, partigiano Modroz nella 122^, Presidente provinciale ANPI, che ricordiamo a otto mesi dalla sua scomparsa.

È molto significativo essere qui ancora una volta a celebrare il 70° di quell’assemblea democratica che vide schierata proprio in questo pratone, il Plà Lonc, il 3 settembre 1944, per la prima volta in modo ufficiale e al completo con i suoi più di quattrocento effettivi, la 54^ brigata Garibaldi insieme alla popolazione di Cevo e dei borghi della Valsaviore.

Era anzitutto un’assemblea partigiana, indetta per riordinare nelle sue strutture organizzative la brigata dopo la riuscita dei colpi condotti dai diversi raggruppamenti di ribelli contro le postazioni nazifasciste della valle e dopo le inevitabili e brutali rappresaglie contro le popolazioni, massima quella che portò all’incendio e agli eccidi di Cevo all’inizio di luglio di quella sanguinosa estate.

Ma fu anche un’assemblea popolare, quella del 3 settembre ’44, finalizzata a ristabilire e a ricucire un rapporto di fiducia con le popolazioni provate dal dolore e dai lutti prodotti dalla rappresaglia fascista, per superare la rottura e la divisione tra popolazione e ribelli, risultato a cui puntava la strategia della guerra ai civili.

Una celebrazione singolare, quindi la nostra di stamattina, perché non rimanda ad un evento tragico o ad uno scontro epico, bensì ad un atto di coraggio e di intelligenza politica, politica con la P maiuscola beninteso, da parte della resistenza nella sua realtà di lotta di popolo, un atto di democrazia reale, quasi inconcepibile in un contesto di guerra e violenza brutali, di dolori e fatiche per noi inimmaginabili.

Con partigiani e popolazione chiamati ad alzare la mano, da cittadine e da cittadini liberi ad esprimere le proprie libere scelte, un’esperienza che prefigurava concretamente quella democrazia, quell’uguaglianza che per i più dei presenti costituivano ancora ideali in nome dei quali battersi e rischiare la vita, più che realtà sul piano concreto del vissuto personale.

Quindi, un episodio unico nella storia della resistenza bresciana, dalle molteplici valenze anche se ancora non valorizzato a pieno nella sua importanza e nei suoi significati più generali.

Infatti come non pensare al ruolo politico dei CLN nell’organizzare e nell’indirizzare lo spontaneismo di ribelli, patrioti, sovversivi, e delle popolazioni che li sostenevano in un quadro strategico coerente e unitario tale da rendere il movimento partigiano interlocutore ineludibile e necessario anche agli occhi sospettosi degli Alleati?

Come non recuperare dal luogo in cui ci troviamo la concretezza delle parole di Calamandrei, che spesso ripetiamo senza riflettere?

Come non tener conto che anche da esperienze come questa è partita la spinta decisiva alla Costituente e alla sua legittimazione? E che nella lotta partigiana e in esperienze come quella del Plà lonc si sono poste le basi di quella Costituzione del ’48, eredità e patrimonio civile che le generazioni della resistenza hanno passato a quelle successive?

Sì, proprio quella Costituzione che Calamandrei definì come Resistenza tradotta in formule giuridiche, in virtù del forte richiamo ai valori di libertà, di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, di solidarietà, di pace, di democrazia fondata sul diritto al lavoro e sulla partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Non se lo dimentichino il nesso originario tra resistenza e Costituzione, nella fretta del fare, anche coloro che, senza mandato esplicito degli elettori e con dubbia legittimità istituzionale, nel nome della governabilità e dell’emergenza economica, ma in assenza di provvedimenti efficaci in campo occupazionale, stanno invece mettendo mano troppo disinvoltamente al patrimonio civile, etico, morale che abbiamo ereditato dalla stagione più bella della nostra storia, grazie ai successi dei Partigiani e dei Combattenti per la libertà, e grazie alla dedizione di quei caduti che onoriamo anche oggi.

Teniamola sempre ben presente questa realtà storica e ciò che è stata la Resistenza e la lotta antifascista come quella combattuta anche in questi luoghi a innescare e legittimare il processo democratico che ha portato alla Costituzione del ’48, a rendere possibile l’alto compromesso scaturito dall’incontro/confronto tra le principali correnti della cultura italiana e dell’antifascismo, quella socialista e marxista, quella cattolica e quella liberaldemocratica, unite nel CLN attorno all’idea di fondare con la Costituente una nuova democrazia.

Una riforma quella approvata in prima lettura al senato che con la concentrazione dei poteri nelle mani del capo dell’esecutivo, a scapito del Parlamento e delle istituzioni di garanzia, apporta alla Costituzione del ‘48, mutamenti radicali, squilibrando il sistema di pesi e contrappesi che i Costituenti, memori dell’esperienza fascista, avevano delineato per scongiurare il pericolo della dittatura della maggioranza.

Il tutto a sancire il trionfo di trent’anni e passa di pensiero unico neoliberista, coi relativi principi antidemocratici in campo economico e sociale a sostituire quelli costituzionali e con la sovranità del libero mercato che subentra a quella del popolo di cittadine e cittadini.

Come se ridurre di numero i senatori (ma non i deputati), o evitarne l’elezione popolare, come se passando da una democrazia parlamentare ad una democrazia del “premierato assoluto”, possa salvare l’economia italiana, favorire la pace in Europa e nel mondo.

Un mondo che del resto non è certo quello sognato dalle donne e dagli uomini della resistenza e per il quale loro si sono battuti in quella che doveva essere l’ultima guerra.

Un presente il nostro di una drammaticità tale da spingere il papa prima a denunciare un’economia che uccide essendo basata sull’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e poi a sottolineare il fatto che noi siamo in un mondo in guerra, dappertutto!  

Parole lasciate cadere nella più completa indifferenza da politici, popoli, e analisti come se fossero unicamente un appello idealista invece che una lucida esortazione ad agire rapidamente con sagacia.

Infatti si è come anestetizzati dal fatto che siccome la scuola ha insegnato a tutti che la Seconda Guerra Mondiale si è svolta dal 1939 al 1945, ecco che allora quasi nessuno osa pensare che le campagne africane del Duce, l’espansione giapponese in Estremo Oriente, le annessioni territoriali tedesche, la guerra civile spagnola, le politiche economiche degli stati dopo la Grande Crisi fossero già, di fatto, guerra mondiale.

Così come oggi nessuno sembra voler intendere che dalla riunificazione tedesca in avanti, le guerre prima già ampiamente diffuse nel mondo si sono riavvicinate sempre più pericolosamente a quello che era, e per certi fatti rimane, il cuore del capitalismo e, soprattutto, alle aree e alle questioni irrisolte dai due precedenti conflitti globali: la spartizione territoriale dell’area centro-europea e del Medio Oriente, la inevitabile ridistribuzione in ambito capitalista dei ruoli economici e politici oltre che dei mercati finanziari e commerciali e delle materie prime (prima tra tutte, come allora, il petrolio).

Stante l’indebolimento storico degli attori principali di allora (USA, Russia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Giappone e Italia) e il sorgere di nuovi ed agguerriti competitori economico-militari e diplomatici che allora contarono, invece, ben poco (prima di tutto la Cina, seguita però dall’India, dalle monarchie del Golfo, dalla Turchia, dall’Iran, solo per citarne alcuni).

D’altra parte, dovremmo saperlo bene tutti, le guerre sono spesso state anche delle momentanee uscite di sicurezza per regimi e governi in difficoltà.

È in questo contesto esplosivo che si inseriscono anche le indecenze italiane. Stagnazione, recessione, corruzione, evasione fiscale, disoccupazione e altre carenze ben note non solo a noi ma soprattutto ai nostri partner in Europa e nel mondo.

Questioni che se non affrontate subito, fanno pensare che cambiare la Costituzione sia una tecnica dilatoria per non sfidare le urgenze vere.

Infatti sarebbe opportuno che tra tanto parlare a vanvera, qualcuno ci chiarisse in modo convincente come la Costituzione riformata contribuirà a diminuire il debito pubblico, a trovar lavoro ai giovani, ad arrestare corruzione ed evasione fiscale, a rilanciare formazione e ricerca, a incentivare le imprese, l’economia e la cultura, a tutelare il paesaggio, l’ambiente e il patrimonio artistico.

Inoltre come con l’Italicum, la nuova legge elettorale, s’intenda riconquistare alla democrazia i milioni di italiani che non hanno votato, piuttosto che incentivare l’astensionismo purché un partito ottenga il premio di maggioranza.

Allora è più che legittimo per noi dell’ANPI chiedere: vale la pena dilapidare l’eredità della stagione più bella della storia italiana recente svilendo la Costituzione in un abbraccio mortale con un politico condannato in via definitiva ed espulso dal Senato?

Per noi il governo ed il Paese acquisterebbero prestigio e credibilità interna ed internazionale contro populismi, neofascismi e neonazionalismi comunque camuffati, se i nostri governanti mostrassero nei fatti di ricordarsi dei diritti dei cittadini sanciti proprio dalla Costituzione del ‘48 e dimenticati dalle loro politiche con la scusa della crisi.

Il diritto al lavoro per tutti i cittadini (art. 1 e 4), la funzione sociale della proprietà (art. 42), la pari dignità sociale dei cittadini e la loro eguaglianza (art. 3), la garanzia per tutti di «un’esistenza libera e dignitosa» (art. 36), il diritto alla cultura (artt. 9, 21, 33), il diritto alla salute (art. 32), il diritto alla convivenza pacifica tra le nazioni (art.11), per dirne alcuni. Diritti ignorati o taglieggiati in nome della crisi economica e dell’emergenza infinita.

Diciamo questo non per intrometterci nelle vicende politiche ma per adempiere ad un dovere consacrato dall’ultimo Congresso, che affida all’ANPI l’oneroso compito di essere “coscienza critica” del Paese. Che significa “coscienza critica” se non osservare la situazione politica e istituzionale formulando valutazioni sulla base del nostro metro fondamentale costituito dalla Costituzione e dai suoi principi?

Altrimenti tradiremmo noi stessi.

E le parole, oggi le mie, risuonerebbero false ed insopportabilmente retoriche alle nostre stesse orecchie prima che a quelle di chi ascolta.
Con la consapevolezza che criticare e denunciare i rischi non significa affatto entrare nel gioco dei partiti, compito non nostro, bensì ribadire la necessità di avere sempre come punto di riferimento la Costituzione democratica ed antifascista frutto ed eredità della lotta di liberazione, quel testamento di centomila morti che la Resistenza ci ha consegnato.

“Poche cose ci chiedono i nostri morti. – diceva Calamandrei – Non dobbiamo tradirli!”

E la critica e la denuncia mi sembra il minimo che dobbiamo ai Partigiani, ai Combattenti e soprattutto ai Caduti per la libertà perché le loro sofferenze, le loro morti continuino ad essere l’altissimo costo pagato per l’inizio di un mondo più giusto, libero e lieto; perché le loro morti non siano rese inutili da politiche e da riforme costituzionalmente inaccettabili.

Col loro esempio di “piccoli maestri” nel cuore e la Costituzione del ‘48 in mano cercheremo di essere all’altezza.

Allora giù le mani dalla Costituzione eredità della Resistenza.

Non in nostro nome !

Per questo, Viva i partigiani e gli antifascisti, viva la Costituzione antifascista della Repubblica italiana, viva la Resistenza e viva la storia del Plà lonc.

Per vedere alcune foto della giornata, fai clic qui

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